Focus Tecnici

La Cappa chimica ad estrazione totale è un DPC (Dispositivo di Protezione Collettiva).

E’ uno spazio di lavoro chiuso e ventilato con la funzione di contenere ed espellere vapori e particolato prodotti al suo interno. Chiuso ai lati e sul fondo, ha sul tetto un plenum per l’aspirazione ed espulsione dell’aria. Un’apertura a saliscendi frontale permette a l’utilizzatore le manipolazioni al suo interno.

La cappa chimica deve essere progettata ed installata correttamente ed avere interventi di manutenzione per garantire la protezione per l’operatore.

Le sostanze manipolate sono caratterizzate da potenziale pericolo. Infatti all’interno delle cappe si possono sviluppare atmosfere anche tossiche, infiammabili, o esplosive. La cappa, per tale motivo deve essere mantenuta perfettamente efficiente.

La norma europea di riferimento per la costruzione, ed i test prestazionali, è la UNI EN 14175. La norma che regolamenta le prestazioni minime è la UNI TS 11710.

Le Cappe devono possedere una certificazione di prodotto ed il marchio CE.

La Cappa deve essere utilizzata in modo corretto:

  • Tutte le operazioni con prodotti chimici pericolosi devono essere compiute sotto cappa.
  • Prima di iniziare la lavorazione, accertarsi che la cappa sia in funzione.
  • La zona lavorativa e tutto il materiale nella cappa devono essere lontani dall’apertura frontale almeno 15-20 cm.
  • Alzare il frontale a massimo 40/50 cm di apertura durante il lavoro; non introdursi all’interno della cappa (es. con la testa) per nessun motivo. Ricordarsi che più il frontale è abbassato, meno il funzionamento della cappa risente di correnti spurie nella stanza
  • Mantenere pulito e ordinato il piano di lavoro dopo ogni lavorazione.
  • Tenere sotto cappa solo il materiale strettamente necessario all’attività: non usare la cappa come deposito. Non ostruire il passaggio dell’aria lungo il piano della cappa e, qualora sia necessario utilizzare attrezzature che ingombrano il piano, sollevarle almeno di 5 cm rispetto al piano stesso con dei tappi opportuni e tenerle distanziate anche dalle pareti. Tener conto in ogni caso che non vanno ostruite le feritoie di aspirazione della cappa.
  • Non utilizzare la cappa come mezzo per lo smaltimento dei reagenti mediante evaporazione forzata.
  • Quando la cappa non è in uso, spegnere l’aspirazione e chiudere il frontale.
  • Qualora si utilizzino nella cappa apparecchiature elettriche (che devono essere adatte ad atmosfera con pericolo d’incendio) ogni connessione elettrica deve essere esterna alla cappa.

Setaflash Small Scale, Test automatico punto di infiammabilità: Domande e Risposte

 

In alcuni metodi (ad es. ASTM 8174 e EPA 1020) si legge che il metodo stesso non è applicabile per rifiuti che formano uno strato superficiale. A quali tipologie di rifiuti si riferisce questa affermazione?

Premesso che, ASTM D8174-18, copre la procedura per il punto di infiammabilità, nell’intervallo da –20 a 70 °C, di rifiuti liquidi, utilizzando un tester a tazza chiusa small scale, quindi capace di raffreddare a temperature inferiori a -20°C, lo strumento risulta conforme.

Questo metodo di prova non è applicabile ai rifiuti liquidi che formano una pellicola superficiale, vedi il metodo di prova D8175 per la determinazione del punto di infiammabilità dei rifiuti con il tester Pensky-Martens a tazza chiusa.  
Questo metodo di prova copre la procedura per una prova del punto di infiammabilità, nell’intervallo da 20 a 70°C, di rifiuti liquidi utilizzando un tester a tazza chiusa Pensky-Martens manuale o automatico.

La differenza tra Pensky-Martens e small scale è: PM, circa 80 ml di campione + agitazione (https://www.stanhope-seta.co.uk/wp-content/uploads/35000-0_PM-93_Flashpoint.pdf).

  1. “Must” per PM campo di applicazione, ambiente +5°C/+400°C.
    Non viene “costruito” per scendere sotto la temperatura ambiente +5.
  2. Essendo previsto l’agitatore, si riduce inevitabilmente “l’ostacolo” della tensione superficiale, lavorando, però, su circa 80 ml di prodotto. Se lavoriamo “in small scale” (2 ml), l’influenza della tensione superficiale è insignificante.

Si forma uno strato superficiale, quando ho una miscela/miscuglio, 95% acqua-5% mix idrocarburi ( es. solventi).

Il manuale e il training non descrivono i metodi di campionamento.
Occorre per campionamento, conservazione ed uso, fare sempre riferimento ai metodi e agli standard di prova pertinenti.

Quanto dura il test in modalità rampa?
In generale quanto tempo dobbiamo considerare (tra analisi, raffreddamento, pulizia, ecc.) perché lo strumento sia pronto per l’analisi successiva sia in modalità rampa che in modalità flash/no flash?

Il test in modalità rampa dura meno di 8 minuti (includendo analisi, raffreddamento, pulizia, ecc.)

In modalità Flash/no Flash lo strumento impiega 2 minuti.
E’ importante considerare che quest’ultima modalità si utilizza, quando si ha idea di quanto possa essere il flash point.
Se i prodotti sono sconosciuti, è sempre meglio utilizzare, per lavorare in sicurezza, la modalità rampa.

Nei nostri laboratori trattiamo rifiuti a base acquosa (nella maggior parte dei casi con % di acqua abbondantemente al di sopra del 90%); quale è la modalità di analisi consigliata?
Se lavoriamo in rampa quale è l’intervallo che possiamo coprire? Il vapore acqueo inficia in qualche modo l’analisi?

L’unico problema che si ha con contenuti di acqua così alti è che non si daranno mai risultati di flash point, es.92°C, perché già a 65°C si sviluppano i primi vapori e salendo di temperatura l’acqua comincia a “bollire”.

Il nostro Staff è a vostra disposizione per assistervi in occasione di casistiche particolari.

Possono essere entrambi (Setaflash serie 3 e serie 8) essere utilizzati in sicurezza senza l’ausilio di una cappa?

Assolutamente sì.
Si svilupperanno sicuramente dei vapori, ma da due ml di prodotto e non appena trovato il flash, la macchina interrompe il riscaldamento e raffredda.

I modelli Setaflash possono gestire un volume analitico di circa 100 campioni a settimana con una manutenzione annuale?

La macchina automatica sicuramente sì.
Il service/manutenzione ordinaria è sempre ogni 12 mesi.

Entrambi i modelli hanno il raffreddamento rapido o solo il setaflash 8?

Il sistema peltier del serie 8 certamente.
La versione 3 semiautomatica necessita di una persona a controllo del processo per circa 8 ore (circa 100 campioni a settimana).

La modalità rampa ha un range massimo di 30 gradi o può essere più elevato?

Sì, si può “customizzare” un metodo o crearne uno nuovo.
Tuttavia 30°C è una temperatura sufficiente.

La coppa, dove viene inserita l’aliquota, deve essere pulita ad ogni intervento con acqua o sufficiente un panno?

Con le coppette di alluminio usa e getta, per preservare la coppa, non è necessario alcun intervento di pulizia.

Quali misure di sicurezza sono necessarie per lo strumento: necessaria una cappa, un lavello, estintori, altro?

Non seve nulla. Lavoriamo con 2 ml di prodotto.

In modalità rampa, nell’arco di un turno lavorativo di 8 ore, si riescono ad effettuare 25-30 analisi al giorno?

Si

 

 

Analisi densità dell’aceto con ALM-155

ALM-155 è un densimetro a capillare oscillante di elevata precisione alla “portata di tutti”, indicato per l’analisi della densità negli aceti di vino o balsamici, glasse, vini e mosti.
Previa distillazione del campione è inoltre possibile effettuare la misura del grado alcolico.

Caratteristiche principali:

  • Analisi densità (massa volumica), densità 20/20 e grado alcolico secondo metodo ufficiale.
  • Risoluzione centesimale per l’alcol (conformità OIV)
  • Risoluzione quinta cifra decimale per densità relativa (20/20) e massa volumica
  • Termostatazione Peltier fissa a 20,00°C +/-0,03°C (Conformità OIV)
  • Uno o due punti di calibrazione a scelta (solo acqua oppure acqua e aria, conformità OIV)
  • Equipaggio di serie con pompa peristaltica per aspirazione campione e lavaggio a fine analisi.
  • Auto installante e facilissimo da usare, non necessita di manutenzione se non il lavaggio della cella a fine lavoro.
  • Espressione diretta del valore di densità anche in Brix, Babo e Baumè.

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So2 in Enologia

Il gas di anidride solforosa emana un aroma acre e pungente che ricorda un fiammifero bruciato.
Non è possibile fare vino senza la SO2 perché tutti i lieviti durante la fermentazione producono solfiti come intermedio metabolico nella riduzione dei solfati.
I ceppi di lieviti si possono classificare in basso produttori di SO2 (e.g. Saccharomyces cerevisiae var. ellipsoideus) ed alto produttori (e.g. Saccharomyces bayanus Sacardo).
Il consumatore è sempre più sensibile ai temi della sostenibilità e delle produzioni green; trend registrato da una forte crescita nel consumo di prodotti ”Bio”.
Sono attualmente oggetto di studio numerose alternative all’impiego dell’anidride solforosa nei mosti e nei vini; tuttavia rimane il conservante più rappresentativo per il settore enologico.
L’anidride solforosa ha diverse proprietà di interesse enologico:

  • è un antimicrobico: aiuta a prevenire lo sviluppo di microbi batterici ed inibisce i lieviti non selezionati
  • è un antiossidasico per la sua capacità di inibire l’imbrunimento enzimatico
  • è un antiossidante per la sua capacità di ridurre le ossidazioni di natura chimica delle sostanze fenoliche
  • aiuta a prevenire aromi e colore durante la conservazione per preservare le qualità e le caratteristiche del vino.
  • favorisce la torbidità favorendo la separazione delle sostanze fecciose in sospensione.

Viene utilizzata durante tutte le fasi di produzione, dalla raccolta all’affinamento.
E’ importante calcolare la giusta dose al momento giusto, per svolgere il compito desiderato senza eccessi e senza compromettere la qualità del vino

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Reologia

Branca della fisica che ha come scopo la descrizione, la spiegazione, la misura e lo studio dei fenomeni meccanici che avvengono nei materiali quando questi vengono deformati.
In questo senso, la reologia studia la deformazione e il flusso dei materiali.

Obiettivo primario di uno studio reologico di un materiale è quindi la ricerca di una relazione che ne definisca il comportamento meccanico.
Essa viene usualmente indicata con il nome di equazione costitutiva o anche equazione reologica di stato del materiale considerato e lega tra loro le grandezze dinamiche (sforzo) a quelle cinematiche (deformazione).

E’ possibile classificare la natura di un materiale (liquido, semisolido o solido) in base alla sua risposta a seguito di una sollecitazione esterna. Il materiale può scorrere, deformarsi parzialmente o non deformarsi.
Al termine della sollecitazione esterna possono verificarsi tre risposte da parte del materiale in oggetto:

    1. Una deformazione continua, infinita, non più recuperabile: il materiale scorre (liquido)
    2. Una deformazione che permane totalmente o parzialmente al cessare della sollecitazione: materiali plastici o viscoelastici
    3. Una deformazione che viene totalmente recuperata al termine della sollecitazione: materiali elastici.

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Viscosimetri – Scelta del viscosimetro

Per viscosimetro si intende uno strumento adatto a misurare la viscosità dei fluidi.
Ma quali fluidi?
Dal punto di vista fisico/reologico, con un viscosimetro è possibile misurare solamente la viscosità di fluidi newtoniani.
Gli altri prodotti, pseudoplastici e in particolare, plastici, non dovrebbero essere misurati con un viscosimetro, ma con un reometro. Questi prodotti infatti presentano una viscosità che diminuisce al variare della sollecitazione o addirittura (nel caso dei campioni plastici) presentano un limite di scorrimento.
La misura delle proprietà reologiche di questi campioni è realizzabile solo con un reometro.

Esistono vari tipi di viscosimetri, a tubo o capillare, a tazza, rotazionali, a vibrazione, di Hoeppler ecc.

Ciascuno di questi viscosimetri è fornito di accessori che li rendono adatti per misurare prodotti a bassa oppure ad alta viscosità. Ad esempio i viscosimetri rotazionali utilizzano rotori di dimensioni diverse a seconda della viscosità del campione oppure, nel caso delle tazze viscosimetriche, ne esistono con fori di efflusso più o meno grandi.
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